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Il Castello di Staggia Senese, Poggibonsi, Siena,. Author and Copyright Marco Ramerini
Il Castello di Staggia Senese, Poggibonsi, Siena,. Author and Copyright Marco Ramerini

Michele Grazzini: un processo al pievano di Staggia, 1594

Scritto e ricercato da Marco Ramerini – Aprile 2023

I GRAZZINI

Nell’Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa è presente un faldone di una causa criminale relativa al pievano di Staggia Michele Grazzini, la causa è datata 1594. Il pievano in questione apparteneva ad una nota famiglia di Staggia le cui origini si fanno risalire all’inizio del XIII secolo ad un certo Grazzino.1 I Grazzini già nel XIV secolo avevano una stretta relazione con i Franzesi, i signori del castello di Staggia, dei quali all’epoca erano probabilmente uomini d’armi della casata Franzesi.2

Nel secolo successivo l’influenza dei Grazzini si estese divenendo punto di riferimento politico per la vita di Staggia e nei rapporti di Staggia con Firenze. Nel XV secolo i Grazzini divennero cittadini fiorentini. Pochi anni dopo la metà del quattrocento Bindo Grazini fece erigere nella pieve di Staggia la Cappella di Santa Maria Maddalena garantendosi il giuspatronato. Simone Grazzini, notaio, divenne consigliere e segretario di Lorenzo de’ Medici. Nel 1477 Simone fu ambasciatore fiorentino a Genova e successivamente ricoprì molti altri incarichi per Firenze.3

Le fortune della famiglia andarono di pari passo con quelle dei Medici, messi da parte quando i Medici persero il potere, i Grazzini lo riacquistarono con il loro ritorno. La famiglia ebbe anche altri notai e diversi sacerdoti, tra cui alcuni pievani di Staggia.4 Nel 1489, ser Francesco Grazzini eresse la Cappella dei Magi nella pieve di Staggia. Nel cinquecento ebbe notorietà il celebre letterato Anton Francesco Grazzini detto il Lasca, che fu tra i fondatori delle accademie degli Umidi e della Crusca. Bernardino Grazzini fu segretario dei granduchi Cosimo e Francesco de’ Medici.5 Tra i pievani possiamo ricordare Filippo di Bernardino Grazzini (pievano dal 1551) e Federigo di Simone Grazzini che furono sepolti in chiesa.

Un altro pievano di Staggia fu Michele di Francesco Grazzini, il protagonista di questa ricerca. Le evidenze indicano che Michele divenne pievano di Staggia attorno all’agosto del 1583. Infatti il registro dei morti si apre con la scritta “libro dei morti della Pieve di Staggia fatto da me Michele Grazzini pievano di Staggia questo dì 13 d’agosto 1583”.6 Mentre nei registri dei battesimi della pieve di Staggia il 29 settembre 1583 è la data del primo battesimo celebrato come pievano di Staggia da Michele Grazzini.7 Il primo matrimonio celebrato dal Grazzini è datato 29 gennaio 1583 (cioè 1584).8 Uno dei testimoni, Giovanni Maria di Cesare Mattioli da Staggia, conferma che il Grazzini “ha tenuto detta pieve, che possono essere da dodici anni”.9

Il pievano era figlio di Francesco Grazzini e di Lisabetta Strozzi10. Il padre del piovano, Francesco Grazzini, era “notaro da Staggia”, e sia il padre, come altri Grazzini, sia la madre erano cittadini fiorentini.11 Anche il pievano era cittadino fiorentino come risulta nel procedimento.12 Il padre del pievano era già morto all’epoca di questi fatti.

Fra Spirito, uno dei testimoni al processo, ci fornisce alcune informazioni sulla famiglia Grazzini. Il padre del pievano, Francesco Grazzini, aveva ricevuto la cittadinanza fiorentina dal Granduca Cosimo de’ Medici, ed aveva un privilegio di 20 anni. Per quanto riguarda la madre Lisabetta, Fra Spirito non sa se sia anche lei cittadina fiorentina (ma in altre testimonianze, come detto, viene indicata come cittadina fiorentina). I Grazzini avevano casa sia a Staggia che a Firenze.13

Frate Spirito, frate dell’ordine di Lecceto, che all’epoca di questi fatti ha 53 anni, è originario di Staggia e tiene la cura di Santa Maria a Lecchi e San Donato di Cerna, vive con il salario che riceve dai monaci dell’Abbadia a Isola per l’officiatura di dette chiese e con un poco di entrate che ha sua madre. A Staggia vivono la sorella e la madre di Fra Spirito. Battista del Ciaci (uno dei principali accusatori del pievano) è padre del cognato di Fra Spirito, ma Fra Spirito, come vedremo durante la sua testimonianza, si mantiene neutrale sulla questione.14

Il Castello di Staggia Senese, Poggibonsi, Siena,. Author and Copyright Marco Ramerini
Il Castello di Staggia

LE ACCUSE AL PIEVANO

Il Grazzini viene indagato per vari capi d’accusa, tra i quali le mancate confessioni a persone poi morte, la richiesta in confessionale di una fanciulla, la lampada del Santissino Sacramento trovata molte volte spenta, la vendita del grano al mercato, una lite in osteria a Staggia e infine la frequentazione di una prostituta a Poggibonsi. Quest’ultimo episodio ebbe luogo quando il procedimento contro il pievano era già avviato.

Il 20 marzo 1594 Lorenzo del fu Giovanni Maria Nelli di Staggia fece una “fede”15 a nome di Salvatore di Francesco Savilli che conteneva l’accusa al pievano di non aver impartito i sacramenti ad alcuni morti. Il documento fu scritto in casa di mastro Jacomo, legnaiolo a Staggia, alla presenza di Jacomo legnaiolo, Battista del Ciaci, Betto Socci fattore del sig. cavalier Lorenzo Bonsi e alcune donne tra cui Ortentia di Domenico Pacini e Gostanza moglie del fu Bastiano da Vivaia e madre dei due fratelli morti.16 Probabilmente fu questo documento a far cominciare il procedimento nei riguardi del pievano di Staggia. Questa fede è presente tra gli atti del processo.17

Le deposizioni dei testimoni iniziano il 1 aprile 1594 e terminano il 25 giugno 1594 con la deposizione finale del Grazzini. Nel processo vengono chiamati a testimoniare circa una quarantina di abitanti di Staggia e della vicina Poggibonsi.

PRECETTO DI NON LASCIARE COLLE

Il Grazzini fu trattenuto a Colle mentre venivano raccolte le testimonianze dei fatti accaduti. Il pievano aveva ricevuto l’ordine di non lasciare la città di Colle, ma una sera se ne andò a Staggia senza avere il permesso di farlo. Il Grazzini dice che aveva chiesto licenza di andare a Staggia al vescovo per chiudere la sua casa che era rimasta aperta. Il vescovo non gliela concesse, e gli disse di chiedere al vicario, ma il Grazzini siccome il vicario non c’era “non glela domandai”. Il pievano decise perciò di andare alle “quattro ore di notte” a Staggia “a serrare la mia casa per non esser rubbato, et che tornai la notte stessa” e secondo lui non si può incolpare di “partenza” per essere tornato così presto e perché in quel tempo nessuno lo ha cercato.18

Sono due le testimonianze che parlano di questo fatto e riguardano le due persone che materialmente aiutarono il Grazzini a realizzare il proprio piano. Il fatto avvenne la notte tra il 14 e il 15 aprile 1594. Entrambi i testimoni vengono interrogati il giorno stesso del fatto, il 15 aprile. I due però parteciparono solo alla seconda parte del piano del pievano, quella del ritorno a Colle, non è chiaro come abbia raggiunto Staggia da Colle, probabilmente a piedi.

Attorno alle “2 hore di notte in circa” Matteo di Lorenzo Franchi (26 anni) abitante a Staggia fu chiamato dal pievano in casa sua dove il Grazzini gli chiese di andare con lui quella mattina stessa con il cavallo a Colle, ma il Franchi essendo zoppo gli disse che non sarebbe riuscito ad arrivare a Colle a piedi, allora il pievano gli disse che lo avrebbe accompagnato fino a Petriccio. I due, la mattina del 15 aprile all’alba, partirono da Staggia a cavallo e giunsero fino a Petriccio. Giunti al Petriccio chiamarono Menico di Togno Pacini19 lavoratore di messer Ercole Muzzi da Poggibonsi che continuò assieme al pievano il viaggio verso Colle. Prima di arrivare a Colle, alla Cappella, il pievano “scavallò et dettemi il cavallo et glielo rimenai come m’haveva detto”. Domenico poi tornò fino a Petriccio con il cavallo, da qui Matteo di Lorenzo (Nencio) Franchi lo riportò a Staggia.20

Il pievano dopo questo fatto viene incarcerato a Colle.

MANCATE CONFESSIONI A PERSONE IN PUNTO DI MORTE

LE MORTI DI BASTIANO E DEI SUOI FIGLI GIULIO E MARCO.

Il primo capo d’accusa, il cui primo interrogatorio è datato 1 aprile 1594, è relativo alla mancata confessione in punto di morte di tre membri di una famiglia, tutti morti a breve distanza di tempo fra loro.21

L’accusa è portata da Costantia del fu Sebastiano (Bastiano) Mariotti22 che abitava nel luogo detto Vivaia di proprietà del cav. Bonzi, un podere situato tra l’odierna Castellina Scalo e Staggia.

I fatti avvennero pochi giorni (“otto o dieci giorni”) prima di carnevale, quando il pievano fu chiamato in casa di Bastiano, il marito di Costantia, per la confessione, l’uomo stava poco bene da alcuni giorni e secondo i famigliari sembrava sul punto di morire, al pievano invece non sembrò così, anzi in un primo momento reputò inutile confessarlo perché disse “Bastiano, voi avete una buona favella, non ho paura che periate di questo male e però non occorre confessarci”, poi però a seguito delle insistenze dell’uomo e dei suoi famigliari lo confessò e poi gli impartì anche l’olio santo. Bastiano morì la notte seguente, “fu il lunedì innanzi il giovedì grasso”, secondo il pievano, Bastiano morì il 24 febbraio.23

Dopo la morte di Bastiano si ammalarono anche i suoi due figli Giulio e Marco. La moglie di Domenico Pacini, Ortentia (abitante nel podere delle Pietre del cav. Bonzi, la cui figlia era sposata con Giulio figlio di Bastiano, e al tempo dei fatti si trovava nella casa di Bastiano per aiutare la moglie di Bastiano, Costantia, nella cura del marito malato), mandò a chiamare il pievano di Staggia tramite Pasquino lavoratore del Primicerio di Siena de’ Piccolomini a Castiglioncello. Giunto nell’abitazione, il pievano entrò in camera di Marco, che sembrava il più grave, gli tastò il polso e disse che non aveva male “era altro che uno sbigottimento perché era morto suo padre”, ma il malato insistè per essere confessato e alla fine fu confessato.

Anche Giulio desiderava confessarsi, ma il pievano gli rispose “che non aveva male da confessarsi” anche lui secondo la diagnosi del pievano si era “sbigottito” per la morte del padre. Nonostante le insistenze di Giulio il pievano non lo volle confessare, perché disse che “la domenica prossima sarebbe potuto andare alla chiesa” per confessarsi e comunicarsi. Poi aggiunse che comunque anche se si fosse confessato non avrebbe potuto comunicarlo neanche la mattina seguente perché doveva seppellire un “giovine a San Lucchese, chiesa dei frati zoccolanti24 nel comune di Poggibonsi”. Il pievano evidentemente non si era portato dietro le ostie consacrate e disse ad Ortentia, la suocera di Giulio che “non è bene fare uscire il sacramento di chiesa”.

Altri particolari sulla famiglia di Giulio, uno dei fratelli morti, si hanno da sua moglie Lucretia, vedova di appena 20 anni. La donna aveva partorito da cinque giorni un bambino. Lucretia, che dopo il parto si trovava a letto assieme al marito malato, fu quindi testimone diretta di quanto si dissero il pievano e Giulio. Nella sua deposizione conferma quanto dichiarato dagli altri membri della famiglia.25

Il pievano non si fece più vedere e il giorno seguente verso sera entrambi i fratelli morirono “prima Giulio, et di poi 3 o quattro hore morse Marco”. Morto Giulio il piovano fu nuovamente chiamato “il qual venne” e dette l’olio santo a Marco che ancora non era morto.

Il giorno successivo il pievano non si presentò e non mandò nessuno, neanche dopo che erano morti tutti e due i fratelli e della morte fu avvertito da Domenico del fu Augustino Pacini da Staggia, suocero di Giulio. Domenico informò il pievano che la madre desiderava seppellire i figli nella stessa sepoltura, ma il pievano disse di no, lui voleva seppellirli in due volte “uno la mattina e uno la sera” e in due sepolture diverse. La madre non si dette per vinta e inviò dal pievano con la stessa richiesta Salvadore (Dore) di Francesco26 detto Bambagione e altri “i quali credo havessero la medesima risposta”.

La famiglia dovette organizzare autonomamente il trasporto a Staggia delle salme, e solo quando i corpi arrivarono vicino a Staggia, “a una balestrata” “un tiro di mano”, il pievano gli venne incontro, i corpi furono messi nella compagnia del Corpus Domini (il pievano dice nella Cappella del Sig. cavaliere Bonzi) e il giorno successivo, che era domenica, furono sepolti in un unica sepoltura “essendo stati morti due dì”. Sul trasporto dei corpi Fra Spirito ci fornisce qualche particolare. Uno dei due fu portato in un cataletto27, mentre l’altro corpo in una scala. A ricevere i corpi oltre al pievano andò anche Fra Spirito “gl’andammo alla rincontra fuor di porta un tiro d’archibuso in circa”.28

Incalzato dalla domande dell’inquisitore il pievano dice che “sono ito più volte a casa sua, et tutte le volte che son venuti per me vi sono andato” ma anche di non ricordare nei particolari se abbia dato la comunione. Il vicario incalza su questo punto in modo severo il pievano, ma il Grazzini non cede e continua ad affermare di non ricordare.29

Nel secondo interrogatorio il pievano si ricorda che non confessò e non comunicò Giulio perché lo trovò “fuori di se per la morte del padre” e che per le “pene di corpo non riteneva”. Anche il fratello Marco era fuori di se “che a pena lo potetti confessare”. Riguardo alla fede scritta il pievano la considera nulla perché fu fatta da Battista del Ciaci che è “motore, et muentore di detta inghitione”. Il pievano abilmente descrive che il contadino (Salvatore di Francesco Savilli detto Bambagione) che aveva firmato la fede fu tratto in inganno da coloro che la scrissero. Il pievano aveva parlato con il contadino di questa cosa in bottega di Sandro30 fabbro di Staggia e l’uomo gli aveva detto che “non gli lessero la detta fede”. Il contadino menzionato dal pievano è un “figliuolo di un certo Bambagione” che è parente dei morti. I reali autori della fede secondo il Grazzini furono Battista del Ciaci e Lorenzo Nelli, il pievano cerca di far passare il tutto come un complotto ai suoi danni.31

LA MORTE DI AGNOLINO

Anche questa morte si riferisce ad un fatto accaduto nel periodo di Carnevale e precisamente nella settimana del giovedì grasso. Il figlio di Francesco (Cecco) del fu Michele Muzi abitante “nel luogo detto a Pini”, di nome Agnolino, che si era confessato il lunedì, essendo gravemente ammalato a letto, il giorno seguente chiese di poter fare la comunione. Il pievano giunse a casa, ma “avendo trovato che detto mio figliuolo s’era risciaquato con l’acqua, sebbene gli disse che non haveva bevuto, detto piovano non gli volse dare la comunione”. Il padre racconta un fatto che gli hanno raccontato i famigliari (la moglie Niccola) perché era andato a cercare il medico “in quell’hora non c’ero perché ero ito per il medico”. Agnolino morì il giovedì senza aver ricevuto la tanto desiderata comunione.32 Il racconto del pievano riguardo a questo fatto è leggermente diverso, il Grazzini andò con tutto l’occorrente per comunicarlo (con il sacramento della comunione, “con un lume solo che era una falcoletta” e senza il baldacchino, perché non si usa quando si va a comunicare gli infermi)33 e dir messa a San Bartolomeo34, ma afferma che Agnolino aveva bevuto molto “egli disse non potere anco inghiottire” quindi per questo impedimento non potè prendere la comunione.35 Agnolino fu sepolto a San Lucchese.36

Fra Spirito chiese al pievano perché non aveva dato i sacramenti a Agnolino e lui gli rispose che non glieli aveva dati perché aveva bevuto “che non gli pareva di comunicarlo con si poca reverenza avendo egli bevuto”.37

LA MORTE DI CRETIA

Cretia era la moglie di Augusto di Paolo di Mariotto Nencini dalla Castellina (talvolta anche Lucretia di Gosto dalla Castellina) al presente abitante a Staggia. La donna si ammalò di febbre il primo giorno della Quaresima, la domenica successiva “vedendo che il male andava innanzi”, il marito Augusto (40 anni) fece visita al piovano di Staggia per chiedergli la licenza di “guastar la Quaresima”, il prete gliela concesse. Cretia (Lucretia) fu sepolta il 20 marzo 1594 senza ricevere nessun sacramento. Nei giorni in cui stava male il pievano non si fece mai vedere, questo secondo quanto riferito ad Augusto da una donna che aiutava Cretia durante la malattia38, il marito infatti era fuori a lavorare “essendo fuora all’hora per guadagnarmi il pane per governarla per esser povero”. Il giorno del funerale, Augusto essendo povero, si fece prestare da Battista di Ciaci “un lenzuolo e un par di guanciali di piuma vestiti con due federe bianche”. Queste cose assieme a un “grembiale bianco” rimasero dopo la sepoltura sopra il “cataletto”,39 ma dopo la cerimonia Augusto si dimenticò di riprenderle. La mattina dopo tornò in chiesa per recuperarle ma non c’erano, chiese dove fossero a Giovanmaria di Lorenzo “che serve ala chiesa” e a Matteio Zoppo lavoratore del pievano entrambi gli risposero che il pievano aveva detto di metterle in sacrestia, cosa che però i due dichiarano di non aver fatto. Augusto chiese anche al pievano che rispose di non averle viste, dichiarò amaramente Augusto “et io in quanto a me non ho giudizio, che l’habbia uno più che un altro”. Augusto nella sua testimonianza dice anche che da quando risiede a Staggia, cioè da “Ognissanti in qua”, ha sentito dire più volte che il pievano lascia morire le persone senza sacramento, tra queste cita le persone morte “questo Carnevale” a Vivaia e un’altra persona ai Pini, cioè i due casi già descritti sopra.40

Il pievano nel suo interrogatorio accenna anche alla morte di una donna morta in Staggia senza sacramenti, il nome della donna non lo conosce perché era ritornata a Staggia da poco tempo, gli pare che fossero pigionali. Il Grazzini non conosceva neanche la malattia della donna, ma che poi ha saputo essere morta “mezza pazzericcia, et sorda et al fuoco dove non v’era né marito né altri”, questo fatto della mancanza del marito sembra proprio riferirsi al marito di Cretia che era andato a lavorare per guadagnarsi il pane per sfamare la moglie.41

Fra Spirito dice che un giorno chiese al pievano perché non aveva dato i sacramenti a Lucretia e lui gli rispose che non lo avevano chiamato.42 Fra Spirito aggiunge anche che non conosce nessuno che gli abbia detto di aver chiamato il pievano, e lui non sia voluto andare, per cui crede che se il pievano non è andato è perché non l’hanno chiamato.43

Un altro testimone chiamato in causa dal pievano, Carlo di Niccolò Pacini (22 anni), riguardo a Cretia moglie di Gosto dichiara che “era impazzita, et il marito la serrava in casa, et andava a lavorare ad opere” anche secondo Carlo in questo caso il pievano non fu mai chiamato.44

Ci sono anche testimonianze favorevoli al Grazzini. Talvolta il pievano andava a visitare i malati senza essere stato chiamato come nel caso del padre di Giovanni Francesco del fu Taddeo Pacini “venne a vederlo senza esser chiamato infinite volte” e anche lo stesso Giovanni Francesco quando stette male fu spesso visitato dal pievano “mi veniva a vedere guasi ogni giorno”. Anche Niccolò Rosi che viveva fuori Staggia mezzo miglio quando era malato fu visitato “senza essere chiamato guasi ogni giorno” dal pievano.45

MORTE DI UN POVERO ALLO SPEDALE DI STAGGIA

La “spedilinga” di San Michele aveva raccontato a Giovanni di Sebastiano Spinelli che nello spedale, che era sotto la cura della pieve, pochi giorni prima era morto un povero senza confessione e comunione. La donna aveva chiesto al pievano, 2 o 3 giorni prima che il povero morisse, “qualcosa per governarlo” ma il pievano rispose che “non era obbligato”.

Riguardo a questo caso il pievano rivela che era andato due volte a confessarlo e comunicarlo se fosse stato possibile, ma lo trovò “senza conoscimento”. Aveva cercato anche di farlo trasportare a Siena o a Poggibonsi da uno dei suoi contadini. L’uomo secondo il pievano ricevette comunque l’olio santo.46 Nel suo interrogatorio il pievano ci fornisce interessanti notizie riguardo lo spedale di Staggia. Lo spedale è sotto la cura di Giulio Sarchielli che è stato “messo da me”, il vescovo di Volterra aveva dato al pievano il titolo dello spedale tramite “un breve che ho a Fiorenza”. Lo spedale si trovava “al principio della terra de la Porta Fiorentina distante ala mia abitazione da due tiri d’archibuso in circa”. Il pievano afferma che solitamente fa visita allo spedale una volta alla settimana, ma a volte ci va ogni due settimane. Alla domanda riguardo a chi provveda per le cose necessarie ai malati il Grazzini afferma che è lui che provvede con il necessario “come ne può far fede la spedaliera passata, il nome dela quale non mi ricordo, ma è sorella di uno che si domanda Ceccotto da Staggia” detta spedaliera se n’era andata proprio attorno al periodo in cui “colui morse nello spedale”.47

Lo Spedale di Staggia, del quale il pievano è rettore, è intitolato a San Michele e rende annualmente 20 scudi di frutto, di tale rendita viene dato conto al Magistrato del Bigallo a Firenze. In passato (prima del 1584) la rendita era di 12 staia di grano e 3 barili di vino “applicati” allo Spedale dell’Abbandonati di Firenze. Le spese ammontano a 15 lire di studio, 14 lire per il salario del rettore (il pievano), 14 lire “per due letti che tengo in detto spedale”, 10 lire “per cultivazione di detti beni” e per fare la festa, 7 lire per il “salario dell’uffiziatura”. Una libbra di cera bianca ogni anno al vescovado di Volterra per censo. Inoltre il pievano riceve 3 staia di grano all’anno per l’ufficiatura della Cappella dello Spedale posta nella Pieve di Staggia.48

IL LIBRO DEI MORTI NON VIENE AGGIORNATO

Nessuna delle morti descritte sopra sono segnate nel libro dei morti della pieve di Staggia, addirittura nel libro non sono segnati i morti per oltre un anno tra il 7 aprile 1593 e il 17 maggio 1594. Ad una domanda diretta riguardo allo scrivere i morti nel libro parrocchiale il Grazzini dichiara che al momento non l’ha aggiornato, ma che ha scritto i morti in un libretto “in certe carte cucite” che tiene in casa e che poi aggiornerà il libro con i loro nomi. Gli viene anche chiesto se abbia un libro con le famiglie dei parrocchiani, cioè uno stato delle anime, ma il pievano dice che non ha un tale libro. In una nuova domanda al riguardo il pievano afferma che non ha scritto i morti “per tenere il libro in sagrestia dove non era inchiostro, così me lo son dimenticato, con aio di scriverlo con comodo”.49

COSTO DELLE SEPOLTURE E LA COMPAGNIA DEL CORPUS DOMINI

Alla fine del cinquecento i morti a Staggia erano seppelliti in tre modi, alcuni in chiesa, altri in compagnia (sia negli anelli che nelle sepolture) e infine nel cimitero (nelle fosse). Interessante è il tariffario per le sepolture descritto dal pievano. I costi erano in passato di uno scudo per coloro che venivano sepolti in chiesa, per gli altri “si soleva dare lire cinque quanto agl’homini, et lire quattro quanto ale donne” ma dopo aver fatto il sinodo di Volterra50 le tariffe sono state “ridotte tutte ad un medesimo termine”. Ora “i padri, et madri di famiglia pagano se ben mi ricordo quattro lire, i bambini venti soldi”, mentre prima del Sinodo di Volterra gli uomini pagavano “cinque carlini, le donne tre giuli e li fanciulli venticinque soldi” mentre “quelli, che non hanno figliuoli, et sono fuora di bambini” pagavano quaranta soldi.51

Riguardo ai costi delle sepolture gli altri testimoni discordano molto da quanto afferma il pievano. Le testimonianze concordano che invece di ridurlo dopo il sinodo di Volterra, il pievano abbia notevolmente incrementato il tariffario. Al riguardo Niccolaio del fu Carlo Pacini detto il Massaio che era correttore della Compagnia del Corpus Domini testimonia che una volta “mi ritrovai a ragionare di fare capitolo” per lamentarci davanti al vescovo dell’aggravio dei costi delle sepolture e per chiedere la concessione che il pievano tenesse un cappellano. Perché in passato per i “capi di casa” venivano pagati “cinque carlini” e per le donne “quattro carlini”, ma un giorno il pievano ci lesse una mattina all’altare “che gli homini havevano a pagare cinque lire, et le donne quattro lire per vigore diceva del Sinodo di Volterra, ma se l’habbi mai fatte pagare o no, io non lo so”.52

Angelo del fu Pietro Taddei che viveva da circa 5 anni nel comune di Staggia aveva sentito dire da diverse persone, tra cui Battista del Ciaci e da Giovanni Spinelli che il pievano faceva pagare agli uomini cinque lire per la sepoltura.53

Augustino del fu Angelo Pepi (64 anni), abitante a Castiglioncello, mugnaio e lavoratore della terra del monastero di Abbadia a Isola era a conoscenza che fino al Sinodo di Volterra per le sepolture dei capi di casa venivano pagati 5 carlini, mentre per gli altri 4 carlini. Dopo il Sinodo il pievano si è fatto pagare da Pasquino Rosi e anche da altre persone 4 lire, come ad esempio “per la sepoltura del Bianco” che era capo di casa. Il testimone invece aveva pagato, prima del Sinodo, per la moglie e un figlio 4 carlini ciascuno.54 Il prezzo di 4 lire sembra quello che veniva fatto pagare negli ultimi anni, sono numerose le testimonianze al riguardo.

Lorenzo del fu Giovanni Maria Nelli (56 anni) al quale gli erano morti negli ultimi anni tre o quattro “putti” piccoli dice di aver pagato 25 soldi a bambino per la sepoltura. Egli aggiunge nuovi particolari riguardo il tentativo da parte dei membri della Compagnia di essere ricevuti dal vescovo per lamentarsi degli esosi costi delle sepolture applicati dal pievano. Dice che fu scritto un Memoriale da Giovanni Spinelli, e che pochi giorni prima (dell’interrogatorio) la Compagnia si era riunita ed erano stati eletti Battista del Ciacci e lui (il Nelli) per andare dal vescovo a richiedere le cose scritte nel Memoriale. Il Memoriale, a firma di Austino Pepi priore della Compagnia di Staggia risulta essere nelle mani degli inquisitori.55

Il Memoriale suddetto è allegato agli atti del processo. Da questo documento si ricava l’organigramma della Compagnia del Corpus Domini di Staggia nel 1594. Il priore della Compagnia era Austino d’Agnolo Pepi, mentre i quattro correttori erano Batista di Domenicho Caci, Nicholaio di Carlo Pacini, Cesare Matiuoli e Giovanni di Bastiano Pinegli (Spinelli?). I due consiglieri del priore erano Luca di Bastiano Franchi56 e Agnolo di Piero Taddei. Nel Memoriale la compagnia faceva richiesta di un sacerdote per il servizio della Compagnia, per dire la Messa e per le feste, ma soprattutto al Corpus Domini per andare in processione “come si costuma” senza doverlo dire al pievano. Il Memoriale poi tratta anche dell’aggravio dei costi delle sepolture sia dei “corpi grandi come piccoli”. Per i capi di casa il pievano pretende 5 lire e le donne 4 lire, questi costi sembrano troppo alti, perché “qui non siamo in Maremma c’è buona aria”. Infine “ci pare averne di bisogno anzi arcibisogno” di un cappellano, perché così “ci fu promesso quando si dette questa Pieve”.57

Fra Spirito, probabilmente è colui che conosce meglio la situazione riguardo i costi delle sepolture, avendo gestito per 4 anni la Pieve di Staggia. Al suo tempo venivano pagati per gli “homini capi di casa cinque carlini” e per le “donne quattro carlini” e per gli altri 25 soldi. Chi veniva seppellito in chiesa pagava uno scudo d’oro. Il nuovo piovano aveva mantenuto quei costi fino al Sinodo di Volterra, ma dopo il Sinodo non conosce se abbia o meno variato i prezzi.58

POCA CURA NELLE COSE DI CHIESA

Interessante per conoscere le usanze della chiesa a fine cinquecento è la dichiarazione di Giovanni di Sebastiano Spinelli (64 anni) abitante nel territorio di Staggia da 36 anni a questa parte ma di origine fiorentina.59 Secondo il suo parere il pievano non si comporta come dovrebbe comportarsi un uomo di chiesa, così dicendo descrive una serie di cose che a Staggia non vengono fatte: non si suona mai l’Ave Maria all’alba, né l’Ave Maria di mezzogiorno, né quella ai morti, mentre l’Ave Maria della sera si suona ma “non a hore competenti”, inoltre “assaissime volte” la “lampana”60 che sta davanti al Sacramento è spenta “per mancamento d’olio, et sottigliezza de lucignoli”.

Raramente il piovano “l’ho sentito dichiarare l’Evangelio” ma, testimonia Lorenzo del fu Giovanni Maria Nelli, a volte ha detto “per interessi suoi particolari” alcune parole “con qualche alteratione” come per esempio era successo con alcune processioni fatte dalla “nostra Compagnia” durante le quali il piovano “per finirla presto” saltò o abbreviò parte degli inni e, poi a causa del rumoreggiare della gente, disse che “in chiesa sua vuol fare a suo modo e non a nostro”.61 Carlo Pacini dichiara che “non l’ha dichiarato [l’Evangelio] da tre anni” in passato molti abitanti di Staggia andavano alla messa a Sant’Antonio perché il pievano era troppo lungo nel dichiarare l’Evangelio. Quando il pievano lasciava per alcuni giorni Staggia la cura delle anime era lasciata a Frate Spirito, mentre le messe venivano dette dai frati di Sant’Antonio o di San Lucchese.62

Il pievano era anche assenteista. Nel 1593 il pievano si assentò per 15 giorni senza lasciare nessun sostituto alla cura della chiesa. Una domenica mattina il popolo fu costretto ad andare a udir messa “chi in qua chi in là”. Durante l’ultima quaresima il pievano “stette fuora per le quattro tempora” e non lasciò nessuno per la cura della chiesa e non ci fu nemmeno la messa “per dette quattro tempora, cioè il venerdì e il sabbato”. Quando il pievano partiva spesso diceva solo a voce al popolo di andare a trovare Frate Spirito che si trova a un miglio di distanza (a Lecchi). Il pievano mai ha detto la Compieta63 apparte una volta in questa Quaresima, non insegna la dottrina cristiana né mai “dichiara l’Evangelio al popolo”. Durante le feste come anche la Pasqua non utilizza la cera bianca ma si serve di mozziconi che prende ai morti. Talvolta quando ha “qualche sdegno con qualcuno, all’altare sborra” e dice parole che scandalizzano il popolo “havete a’ stare sotto a’ questa tacca e zoccolo a vostro dispetto, vogliate o non vogliate”.64

Nelle dichiarazioni di Giovanni Maria di Cesare Mattioli (40 anni) da Staggia che è sagrestano della Compagnia del Corpus Domini traspare anche uno scontro tra il pievano e la comunità di Staggia a causa dei comportamenti del pievano. Il testimone aveva conosciuto il passato pievano, messer Federigo Grazzini, e lui teneva bene la chiesa ma “non mi pare che il detto pievano messer Michele l’habbia imitato”. Giovanni dichiara che non gli sembra che il pievano attuale, Michele Grazzini tenga la chiesa come gli altri pievani che l’hanno preceduto. Nella Quaresima non dice mai la compieta, tiene le chiesa sporca, viene spazzato una volta al mese o anche ogni due mesi, la lampada davanti al Santissimo è spesso spenta, non insegna la dottrina cristiana, “non dichiara l’Evangelio” e “alle volte ci brava dall’altare dicendoci, che noi gl’haviamo a star sotto, et far a modo suo, vogliamo o non vogliamo”. Spesso il pievano va a Firenze. In questa Quaresima ad esempio “per le quattro tempora si partì da Staggia” assentandosi per 8 giorni. Quando se ne va non lascia nessuno a curarsi della chiesa, ma dice di rivolgersi a Fra Spirito curato di Santa Maria a Lecchi.65

Riguardo al viaggiare spesso a Firenze il pievano dice che ci deve andare perché “c’ho alcune liti” e la maggior parte delle volte ha avuto licenza dal vecchio vicario, con la raccomandazione “ch’io lasci uno che habbia cura della chiesa”. Colui che il pievano lascia a gestire la chiesa è Fra Spirito che tiene la cura di Lecchi che si trova a solo un miglio da Staggia. Durante l’ultima Quaresima era stato un frate di San Lucchese a celebrare le messe in assenza del pievano.66

L’interrogatorio del pievano svolto dal vicario ci apre un piccolo squarcio sulla vita religiosa e su Staggia alla fine del cinquecento. Il paese è abitato da circa “cinquanta famiglie dentro e trenta fuori”, le case più lontane dalla pieve si trovano a mezzo miglio di distanza. Per le rogazioni, per San Marco, per la festa del popolo, per San Bastiano e San Rocco vengono fatte le processioni “fuor dalla terra per la parrocchia”. Il pievano partecipa alle processioni talvolta a piedi e talvolta a cavallo. Il pievano afferma che la dottrina cristiana “l’insegno ad alcuni e gl’e l’ho insegnata ad alcuni altri”, “l’ho insegnata a quattro o cinque fanciulli”. Mentre riguardo “ad esporre l’Evangelo “l’ho fatto più volte” ma è il popolo che ha pubblicamente detto che “non ci verranno ad ascoltare la messa” se io “seguitavo di dire qualcosa sopra l’Evangelo”.67

Il pievano ha detto alcune volte in chiesa che chi vuole imparare la dottrina cristiana basta che glielo dica e lui gliela insegnerà. Ci sono alcuni ragazzi a cui il pievano insegna a leggere, tra questi Giovanmaria di Lorenzo Nelli e Pier Maria di Niccolò Rosi e altri giovani, loro in cambio gli servono la Messa, gli accendono la lampada del Santissimo, se si spegne, e gli spazzano in chiesa.68

L’amico del pievano, Niccolò del fu Carlo Pacini che era nato e abitava a Staggia, dove aveva bottega, vendeva “più robbe” come “panno” e altre masserizie, viveva a sue spese ed aveva un patrimonio di circa 2000 scudi. Racconta di come il pievano in passato “dichiarava l’Evangalo” ma nell’ultimo anno ha smesso di farlo perché “molta gente non veniva alla Messa perché gli pareva che fusse troppo lungo”. Nella sua deposizione traspare chiaramente un tentativo di aiutare l’amico pievano, lui a differenza degli altri testimoni dichiara che il pievano nelle cose di chiesa “è stato sempre consueto” per il Corpus Domini, per l’Assunta della Madonna e in tutte le altre feste.69

Riguardo le usanze della chiesa di Staggia sono molto interessanti le dichiarazioni di Frate Spirito, il frate per 4 anni ha officiato la chiesa di Staggia e in quel periodo si cantava nei “giorni della Pasqua, et solennità il Vespro solamente et nelle feste, et domeniche di Quaresima, cantavo il Vespro, et doppo la predica la Compieta, et li giorni feriali di Quaresima dal primo sabbato, fino all’ultimo ogni giorno io la cantavo, o leggevo la Compieta” e così avevano fatto i suoi predecessori. Ma al presente il Grazzini non ha cantato durante la Quaresima, ma ha sempre cantato il Vespro. Il frate ha anche saputo che un paio di volte a Staggia la domenica non è stata detta Messa. Quando il pievano si è assentato per più giorni “quando quindici, quando otto giorni” ha sempre affidato la cura a Fra Spirito, salvo una volta che l’affidò a prete Giovanmaria che “stava li fuora poco poco di Staggia”.70 Riguardo alla dottrina Fra Spirito dice che non ha mai visto il pievano insegnarla ai fanciulli, ma il pievano gli ha detto che l’ha insegnata e l’insegna, e nemmeno ha mai sentito suonare la campana.71

IL CAVALIER VINTA E LA LAMPADA DEL SANTISSIMO SPENTA

Interessante la testimonianza fornitaci da Giovanni di Sebastiano Spinelli riguardante il passaggio da Staggia del cavalier Vinta. Il “cavalier Vinta è Vinta Belisario, cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano, che lavorò nella diplomazia medicea e fu primo segretario dello stato mediceo.

Un giorno il cavalier Vinta “tornando di Roma” passò da Staggia e si fermo nella pieve per pregare. in pieve trovò la lampada del Santissimo spenta. A coloro che erano presenti in chiesa (tra cui lo stesso Spinelli e Battista Ciaci) il cavaliere chiese chi fosse il pievano della chiesa, gli fu risposto messer Michele Grazzini, al che il cavaliere rispose “il padre è pur un homo da bene ma di questo homo, che se ne può sperare, poiché non vuol dare una gocciola d’olio a Christo”. Poi trovando il pievano per la strada di Staggia il cavalier Vinta lo “riprese gagliardamente”.72

Il pievano nel suo interrogatorio dice che il cavalier Vinta “l’ho visto passare più e più volte per Staggia” e ammette che una volta il cavalier Vinta trovò la lampada spenta, ma a sua discolpa il pievano aggiunge che aveva dato il compito di controllare la lampada “ai fanciulli che sono li nela terra, come ancora a quella [donna] che sta accanto ala chiesa73” e aveva detto pubblicamente che se qualcun’altro la trovasse spenta “l’accendino” e “mai l’hanno trovata senza lucignolo, et olio” “le qual cose son segno evidente che io voglio” “che la stia accesa”.74

Uno di questi fanciulli a cui si riferisce il pievano è Giovanni Maria di Lorenzo (16? anni) da Staggia, che serve quasi continuamente la messa, e spazza una volta al mese (o una volta ogni due mesi) la chiesa75 perché il pievano “mi ha insegnato a leggere”, conferma gran parte di quanto dichiarato da Giovanni di Sebastiano Spinelli. Anche lui ha visto molte volte la lampada del Santissimo spenta a causa della mancanza di olio oppure dei lucignoli piccoli. In chiesa il pievano non insegna mai la dottrina cristiana, non suona mai l’Ave Maria all’alba e a mezzogiorno. La compieta non viene mai detta ad eccezione del mercoledì, giovedì e venerdì santo.76

Altra conferma della trascuratezza nella cura della chiesa e in particolare della lampada del Santissimo spesso spenta è testimoniata dal Reverendo Tommaso del fu Bernardino Reneri, canonico di Colle (25 anni) anche lui testimonia che un giorno prima di questa Quaresima entrò nella Pieve di Staggia e trovò la “lampana” del Santissimo Sacramento spenta, il reverendo, uscendo di chiesa con Andrea di Corso colligiano, trovò alcune donne tra cui la serva del pievano, i due dissero alle donne che andassero ad accenderla, le donne risposero “che non era la prima volta, che gl’era restata spenta”.77

Mura di Staggia Senese, Poggibonsi, Siena. Author and Copyright Marco Ramerini.
Le Mura di Staggia

Una volta che il Grazzini non si occupa più della chiesa, perché arrestato, ed è stato sostituito da un cappellano, dichiara Giovanni Maria di Cesare Mattioli da Staggia, la lampada del Santissimo “mai l’ho vista spenta perché [il cappellano] la tiene benissimo”.78

LA MESSA NON DETTA

Giovanni Maria di Lorenzo racconta anche un episodio avvenuto in chiesa una domenica mattina quando il pievano, dopo un alterco con Niccolaio Pacini detto il Massaio, si rifiutò di dir messa nonostante la chiesa fosse piena di fedeli in attesa di udirla.79 Riguardo a quest’ultimo episodio il pievano sarà interrogato dal vicario, ma dirà di non ricordarlo.80 Più informazioni su questo fatto sono riportate nella deposizione dello stesso Niccolaio del fu Carlo Pacini detto il Massaio. L’attrito tra lui e il pievano avvene per un pegno “che avevo confessato per Gosto Pacini” che era debitore del pievano. Una mattina di un giorno festivo o una domenica il messo di Poggibonsi giunse a Staggia “per vendere i pegni” e andò a casa di Niccolaio per il pegno “che era una coltrice81”. Niccolaio siccome il pegno era in casa del debitore chiese tempo per poterlo recuperare. Nella piazza di Staggia i due trovarono il pievano che pretendeva la riscossione e “voleva che si vendesse in tutto, et per tutto”. Seguì un botta e risposta tra i due, ma il pegno non fu preteso dal messo che “non cercò di venire, né di forzarmi che io gli desse un’altra coltrice, ne pegno”.82

Lorenzo del fu Giovanni Maria Nelli di Staggia conferma che un giorno festivo o una domenica sua moglie tornò a casa senza “aver udito messa” questo a causa di una discussione che il pievano ebbe con Niccolaio Pacini detto il Massaio. Il Nelli aggiunge che il pievano “tiene poco delicata la chiesa e non ci spende mai nulla”.83 Anche il calzolaio di Staggia, Angelo del fu Battista, conferma che una domenica il pievano, dopo un diverbio con Niccolò detto il Massaio, si rifiutò di dire messa.84

Il Pievano nega tutto, dichiarando che negli ultimi 5 anni non ha mai “lasciato la Messa” e anche che non ha mai avuto “parole” con il Massaio.85

FREQUENTAZIONE DEI MERCATI

Il pievano va frequentemente ai mercati di Colle e Poggibonsi. Fa portare, il grano, le biade e altre cose, dai suoi lavoratori ai mercati per venderle. Secondo Niccolò del fu Carlo Pacini il pievano va ai mercati per sue “faccende lecite et honeste”.86 Giovanni Maria di Cesare Mattioli circa tre anni prima, aveva sentito dire a un lavoratore del pievano conosciuto per soprannome Cavasa…(?) che aveva venduto (10?) staia di grano. Il pievano andava a quasi tutti i mercati di Colle e Poggibonsi. Anche il “Vasetta” che sta a Belvedere aveva venduto al pievano del grano e delle biade.

Nel faldone del processo c’è una fede datata 5 agosto 1591 scritta da Antonio e Giuliano Fornaini “fratelli carnali” di Maso Fornaini, lavoratori di messer Girolamo Benzi a Francolino nel comune di Santa Maria a Staggia. Nel documento, scritto da Giovanni di Bastiano Spinelli, perché i due fratelli non sanno scrivere, si parla di un prestito che il pievano aveva fatto ai due fratelli e che il pievano volle restituito “a ricolta” e maggiorato. Testimone fu Lorenzo di Giovanmaria Nelli.87

Ma il pievano non era attore di sole cose cattive, ma anche di cose buone, Fra Spirito racconta che una volta vide il pievano acquistare “una catinella di rame” che si “vendeva a bando” a 28 soldi, l’oggetto era un pegno di Agnolino oste alla Querciola. Prima di comprarla il pievano disse a Fra Spirito che la comprava per renderla ad Agnolino e pare che gli mandasse a dire all’oste che l’oggetto “stava a sua istantia” se lo rivoleva.88 L’Osteria della Querciola si trovava lungo la strada che collegava Staggia a Castiglioncello, all’inizio dell’attuale Castellina Scalo.

Anche Carlo di Niccolò Pacini racconta che talvolta il pievano aveva comprato dei “pegni a bando”, ma si dice che di solito gli restituiva ai proprietari per lo stesso prezzo “li comprò per carità, et perché non andassero male”. Tra i beneficiari vengono citati la moglie di Piero (Latini? Casini?), l’oste della Quercia (Querciola),89 e Ceccarello Rosi.90

MALE PAROLE ALL’OSTERIA

Giovanni di Sebastiano Spinelli racconta anche un episodio avvenuto nel terreno dell’Osteria del Bologna a Staggia. Un giorno di questa Quaresima aveva trovato il pievano che stava parlando animatamente con Battista del Ciaci. Battista stava dicendo al pievano “che non aveva fatto il debito suo a lasciar morire la moglie di Gosto (cioè Cretia o Lucretia di Gosto dalla Castellina, la cui morte è già stata descritta)91 e alcuni altri senza li sacramenti” tra i due si venne ben presto a male parole al fine che il pievano disse “con esso voi, bisognerebbe sempre havere un pugnale”, presenti all’accaduto erano mastro Agnolo calzolaro e molte altre persone che evidentemente s’erano radunate a sentire le grida.92

Angelo (Agnolo) di Battista (40 anni) calzolaio a Staggia viene interrogato sulla questione. Trovandosi nel ridotto dell’osteria del Bologna assistette assieme a molti altri ad un alterco tra il pievano e Battista di Ciacio che accusò il pievano che era morta una donna senza essere comunicata e confessata al che il pievano ripose “quando si parla con esso voi, bisognerebbe sempre haver un pugnale sotto”.93

Il pievano racconta che Battista del Ciaci pubblicamente gli aveva dato ripetutamente di “Turco, Ginevrino, et Navarrino”94 offendendolo con queste e altre male parole. Una volta si è vantato “d’havermi bravato, come ne puol far fede più persone, et questo fu circa ala fine di Quaresima pubblicamente nela strada nel terreno del Bologna”. Il Grazzini afferma di non aver mai detto la frase incriminata del “pugnale” e nessuno mi ha “mai visto portar arme”. Il pievano chiama come testimone per avvalorare la tesi che non ha mai detto tale frase Carlo di Niccolao Pacini, ed accusa gli altri testimoni che dicono ciò per “compiacere al detto Battista, e che mi vogliono male”.95

Nella deposizione del pievano tale aggressione verbale da parte del Ciaci era avvenuta perché il Ciaci aveva trovato dei ragazzi a giocare pubblicamente a carte durante la Settimana Santa, tra cui era anche il figlio del Ciaci, e il padre disse che “preti e frati lo dovevan [s]gridare” “siamo in Ginevra” e di questo è causa il pievano che è “un Ginevrino, Turco e un Navarrino”. Il pievano aveva più volte detto ai ragazzi di non giocare, ma loro avevano risposto “andate a dir l’uffizio”.96

Niccolò del fu Carlo Pacini, amico del piovano, dice che conosceva Batista del Ceci dalla Guerra di Siena, e nella sua deposizione non menziona la frase pronunciata dal Grazzini del pugnale ma parla delle parole offensive ricevute dal pievano.97

Il figlio di Niccolò, Carlo Pacini, chiarisce meglio le parole pronunciate da Battista del Ciaci al pievano “siam noi in Ginevra! Voi fate cose che non si fanno in Turchia, a lasciare morire le persone senza sacramenti” e questo era riferito alla morte di Cretia che era pigionale di Battista. Il pievano rispose che diceva le bugie, meglio parlare d’altro, e poi tali osservazioni non competevano a Battista ma eventualmente ai superiori del pievano che “se errarò mi gastigarano!” Battista disse che era anche merito suo se il pievano aveva ricevuto la Pieve, certamente non per i meriti del pievano ma per i meriti di suo padre, e tali atti potevano fargliela togliere.98

RICHIESTA IN CONFESSIONALE DI UNA FANCIULLA

Domenico di Giovanni del Giovine (55 anni) da Staggia descrive quanto era successo a sua figlia Ginevra nel 1593 “fatto le feste di Pasqua di Resurrezione”. La ragazza durante la Settimana Santa era andata a confessarsi dal pievano Michele Grazzini e durante la confessione il pievano la “richiese”.

Il pievano disse alla ragazza di andare, dopo l’Ave Maria (il padre non ricorda se di mezzogiorno o della sera), con un paniere e un coltello, in modo da sembrare che stesse andando a prendere dell’insalata. Il pievano l’avrebbe aspettata dove si trova “una tomba o veramente in un bottino che è verso la Staggia” per raggiungere il pievano la ragazza avrebbe dovuto prendere la “via di drieto” e che lui sarebbe stato “ale vedette a vedere” per andare dove lei fosse andata. Il padre della ragazza non si capacita che nonostate non abbia mai detto niente dell’accaduto questo fatto sia divenuto di dominio pubblico a Staggia e che oggi lui crede di “durar fatica a maritarla”. Il testimone aggiunge anche un altro particolare interessante alla sua testimonianza, la mattina poche ore prima che venisse interrogato (l’interrogatorio era avvenuto nel castello di Staggia) madonna Lisabetta Grazzini, madre del pievano, era stata due volte a casa sua perché aveva saputo che sarebbe stato interrogato, la donna disse che nell’interrogatorio non doveva ricordare l’episodio del confessionale, lo stesso doveva fare la figlia Ginevra.99 La famiglia di Domenico del Giovine abitava in origine a Bolsano (Santa Lucia a Bolsano), ma poi era ritornata ad abitare a Staggia.100

Viene sentita anche Ginevra di Domenico del Giovine da Staggia, la giovane ha solo 18 anni, ma il fatto avvenne l’anno prima, quindi quando aveva 17 anni. Ginevra conferma la storia raccontata dal babbo, ma la arricchisce di alcuni particolari. La ragazza andò a confessarsi in pieve per la Settimana Santa, una volta inginocchiata il pievano le disse che le voleva parlare, la ragazza replicò di dirglielo adesso, ma il pievano disse che non poteva dirglielo in confessione e chiese che la ragazza andasse in Corvezzino dove ci sono le tombe, fingendo di andare a prendere l’insalata, e aspettasse l’arrivo del pievano. Al rifiuto della ragazza il pievano le propose di andare alla Steccaia del suo mulino “che vi è un buttino101” e che l’aspettasse li, ma anche in questo caso la ragazza rifiutò, il pievano non si arrese provò a chiederle se mai andasse a far legna, ma anche a questa richiesta la ragazza fu decisa e disse che suo padre non voleva. A questo punto “non potendo più comportare mi gli levai dinanzi, et andai a confessarmi a Santo Antonio102”, ma la ragazza diventò rossa e le donne che erano in chiesa si accorsero che qualcosa non andava e gli chiesero se il prete gli avesse detto niente, al che Ginevra rispose di no.103

Ginevra racconda di un altro fatto accaduto il giorno succesivo quando andava alla “Fonte Piccolina” a prendere l’acqua, in quest’occasione trovò il pievano alla Porta Bolsanese che tornava dopo aver fatto abbeverare la cavalla, nel vedere la ragazza il pievano disse “voglio tornare indietro che [la cavalla] non ha bevuto”. Mentre Ginevra saliva lo scalone che si trova vicino alla fonte il pievano prese un guanto con dentro dei denari e lo gettò ai piedi della ragazza dicendole “pigliali, pigliali” ma la ragazza gli rigettò con un piede e se ne tornò a casa.104 Dell’intervento della madre del pievano che tenta di far fare falsa testimonianza a Ginevra, la ragazza aggiunge che la donna tentò di convincerla a non testimoniare promettondole che se non avesse raccontato l’episodio del confessionale avrebbe visto “quello che lei harebbe fatto per me”, ma la ragazza come suo padre rispose “io non voglio pigliare un giuramento falso”.105

Il fatto è diventato di pubblico dominio. Dopo aver saputo quanto avvenuto a Ginevra le giovani donne di Staggia in poche vogliono confessarsi dal pievano e la maggior parte si vanno a confessare a Santo Antonio106 e a San Francesco107. Conferma questo anche la testimonianza di Angelo di Battista (40 anni) calzolaio a Staggia.108 Molti padri di giovani fanciulle come Giovanni Maria di Cesare Mattioli non vogliono che le proprie figlie vadano a confessarsi dal pievano.109

Interessante è l’impostazione difensiva che il pievano fa su questo fatto. Il Grazzini dice che la famiglia di Ginevra ha avuto “disgusto”, e se potrà renderà “la pariglia”, quando il pievano parlò con alcune persone (che non ricorda chi siano) del fatto che sua madre fu pregata da Domenico (il padre di Ginevra) di intercedere con un suo lavoratore e garzone di nome Domenico Curini perché prendesse in moglie sua figlia. Ma la madre del pievano “non acconsentì”, sapendo che il ragazzo aveva già in mente di prendere un’altra per moglie, ed essendo questa ragazza povera, la madre del pievano le dette 5 scudi come dote, in modo che si sposassero e “che sia il vero già l’ha presa”. Inoltre Domenico del Giovine doveva ancora saldare al pievano il costo delle sepolture della moglie e della madre.110

Riguardo alla confessione il pievano non si ricorda neanche se ha confessato la ragazza “può essere, et non può essere che io l’habbia confessa” a Staggia vivono circa 300 persone e non si ricorda di tutti coloro che ha confessato “io non mi ricordo d’averla confessa”. Però ammette che le donne in parte si confessano a Santo Antonio, a San Lucchese, a San Francesco o nella Pieve di Staggia. Resta vago anche sull’incontro alla “Fonte Piccolina” dicendo che è possibile che l’abbia incontrata. Riguardo al Corvezzino il pievano puntualizza che a Staggia c’è un luogo chiamato Corbezzino, ma sull’esistenza di tombe o buche “non l’ho viste, et non ci son ito a cercarle”. Riguardo alla Steccaia del Mulino e al bottino il Grazzini ci fornisce interessanti informazioni, dice che conosce il bottino che riceve l’acqua che va al mulino e che fu fatto fare dalla “buona memoria di mio padre” e perché franava venne fatto ricoprire con una volta, quest’opera costò al padre del pievano da 300 a 400 scudi.111

Il Grazzini nega tutto quello che riguarda il tentativo di adescare la ragazza in confessionale. Mai lui ha parlato in questo modo alla ragazza né a nessun altra donna. Racconta che ebbe la pieve di Staggia all’età di 25 o 26 anni “che ero nel fiore della mia gioventù” e “non ho mai dato scandalo a nessuno” anche se occasioni non sarebbero mancate. Adesso che è vicino ai 40 anni reputa cosa “indegna” e “disdicevole” fare le cose di cui è accusato. Il pievano le considera tutte calunnie nei suoi riguardi. La causa di queste accuse è “perché [la ragazza] non si maritasse con detto Meio Curini” e la ragazza per le sue false accuse “sarà gastigata gravemente da Dio”, per se il pievano vuole che “mi sia restituita la fama”.112 Il Grazzini pensa che Ginevra sia stata corrotta “con promissioni di dote” da Battista del Ciaci, che sembra essere il suo accerrimo nemico, colui che gli “aveva fatto dar la chiesa” e che ora vuole portargliela via. Il pievano, astutamente, instilla anche il dubbio, perché la ragazza ha aspettato un anno a denunciare l’accaduto?113

Niccolò del fu Carlo Pacini, conoscena il pievano, di cui era amico, fin da fanciullo per aver sempre vissuto a Staggia e lo riteneva “huomo da bene”. Niccolò conosceva da 4 o 5 anni anche Ginevra di Domenico del Giovine, e ci fornisce le ultime notizie riguardanti Ginevra, che ha lasciato Staggia da un paio di settimane e adesso vive a Siena, e secondo quanto gli hanno riferito il padre e la matrigna, si è sposata a Siena.114 Anche Fra Spirito conferma che la ragazza adesso si trova a Siena, il padre gli ha detto che “si trova nell’Abbandonate, et che l’ha maritata”. Fra Spirito aggiunge che aveva sentito dire da più persone a Staggia che Ginevra “haveva hauto per male non haver hauto per marito quello de Curini, il mezzaiolo della madre del pievano.115

Porta Nord-Est, Staggia Senese, Poggibonsi, Siena. Author and Copyright Marco Ramerini
Porta Lecchi, chiamata da Ginevra, Porta Bolsanese

Un altro testimone, Ercole del fu Pietro Muzzi (48 anni, nativo di Poggibonsi, ma cittadino fiorentino, che abitava sia a Poggibonsi, sia a Firenze, ed aveva 12000 scudi di beni), racconta di un episodio avvenuto nella chiesa di San Lucchese dei Frati Zoccolanti a Poggibonsi.

Una mattina116 mentre il Muzzi era con il Capitano Ottaviano Naldini “appoggiati alla sede di detta chiesa” passò davanti a loro Domenico del Giovane detto il Bellaccio, cioè il padre di Ginevra, il Muzzi disse al Capitano che quello era il padre della fanciulla che il pievano di Staggia si diceva aveva molestato. Saputo questo, il capitano andò a parlare all’uomo e ci rimase per un quarto d’ora. Domenico era soldato della banda di Val d’Elsa di cui il Naldini era Capitano e Governatore. Tornato dal Muzzi, il Capitano gli raccontò cosa l’uomo gli aveva detto. Quella stessa mattina la madre del pievano era stata a trovare Ginevra e il padre della ragazza per sapere se fosse stata già interrogata e cosa avrebbe detto in caso che fosse stata chiamata a testimoniare. La ragazza rispose alla donna “dirò quello che Dio mi spirerà”. Il padre della ragazza disse al Capitano che se sua figlia “diceva cosa, che pregiudicasse a detto piovano, vi aveva causa” questo perché sua figlia “era maritata”117 con un tale Curini che “praticava” nella casa della madre del pievano. A questo Curini la madre del pievano un giorno gli dette “non so che terre o podere” e poi gli disse “t’ho dato il podere ti voglio dare anco la moglie” e così il Curini sposò un’altra ragazza e non Ginevra.118

FREQUENTAZIONE DI UNA PROSTITUTA A POGGIBONSI

Le testimonianze di quest’accusa ci permettono di aprire un piccolo squarcio sulla Poggibonsi di fine cinquecento. Il fatto in questione avvenne nel mese di giugno, un martedì “nel qual giorno si fa il mercato in Poggibonsi”. Notizia interessante, già nel cinquecento, come oggi il mercato di Poggibonsi si teneva il martedì.

I fatti narrati avvennero martedì 7 giugno 1594, il martedì prima del Corpus Domini. Era un giorno di mercato a Poggibonsi, quando il pievano di Staggia Michele Grazzini trovò nella piazza il presbitero Bastiano Caldori da Poggibonsi, i due s’incamminarono lungo le vie del paese. Il pievano era venuto a Poggibonsi per comprare una cavalcatura e mentre passeggiavano incontrarono il curatore di Santa Maria di Lecchi, Fra Spirito (53 anni), un frate di Sant’Agostino della Congregazione Nicetana che quel giorno anche lui si trovava a Poggibonsi, i due preti lo invitarono a “venire a spasso”.

E così i tre preti cominciarono la passeggiata uscendo dal paese murato da “quella Porta che va a Santo Gemignano” e poi “girando andammo per la strada del Galluri” lungo questa strada trovarono alcune “zingare che davano la ventura”, cioè che predivano il futuro ad alcune donne di Poggibonsi, tra queste era anche una certa Caterina Colligiana. Dopo il passaggio dei preti, Caterina rientrò in casa sua che era li vicino, mentre i preti proseguirono “il viaggio in giù così un pochetto” passata la casa di Caterina “forse dieci usci”. Ritornado poi indietro passarono davanti alla casa di Caterina e il pievano di Staggia “uscendo di mezzo a noi entrò in casa di detta Caterina”. La casa di Caterina si trovava “nella Contrada del Galluri”.

Il Caldori e Fra Spirito rimasti in due proseguirono la passeggiata, il curatore di Lecchi andò in “Pieve a dir vespro”, dove successivamente fu raggiunto da Pasquino messo del vescovo di Colle che lo informò della cattura del piovano di Staggia. Mentre Bastiano Caldori rimase in piazza nella bottega del barbiere, qui giunse un “tale per sopra nome chiamato Calderino” che venne a dire che gli “sbirri” volevano rompere la porta della Caterina per catturare il pievano. Al termine del suo interrogatorio il Caldori, che era maestro di scuola di Poggibonsi, dichiara: “la Caterina in Poggibonsi è tenuta comunemente per pubblica puttana”, così dichiareranno anche altri testimoni.

La deposizione di Caterina aggiunge alcuni particolari a quanto successe dopo che il pievano entrò in casa sua, la donna era tornata in casa per “dar la limosina a quella zingara”, ma appena aperta la porta il pievano entrò in casa dicendo “Dio n’aiuti”, Caterina chiuse la porta con la stanga e i due salirono al piano di sopra e “doppo alcuni ragionamenti come si suole m’appoggiò al letto, et qui cominciò a negoziarmi carnalmente”, dopo poco bussarono alla porta, Caterina si affacciò alla finestra e vide che erano gli “sbirri”, nel mentre il pievano scese al piano terra e si nascose in uno “stanzino piccolo da tenere le mele”.

Un vicino di Caterina, “il Castellina”, la cui casa era situata a lato di quella di Caterina, fu colui che fece conoscere la presenza del pievano in casa di Caterina agli sbirri. Gli sbirri si trovavano seduti su un muricciolo vicino al Palazzo del Podestà “il Castellina” gli si avvicinò e parlando con loro di un pegno che aveva da riscuotere rispose “habbia un poco di pazienza, che vedrò che la Caterina lo riscuote perché c’è quel frate suo amico” “se tu vuoi pigliare quel prete in casa della puttana ora è il tempo” avuta questa notizia gli sbirri decisero di agire. Gli sbirri in questione erano Federigo di Angelo da Montegonzio119 (32 anni), cavallaro120 del vicario di Certaldo, Giovanni garzone del podestà di Poggibonsi e Lorenzo del fu Antonio detto Quazz’oldi (50 anni), pubblico esecutore di giustizia e servitore del detto Federigo cavallaro di Certaldo.

Il cavallaro di Certaldo, non conosceva dove fosse la casa di Caterina Colligiana e perciò chiamò, per farsi indicare la casa, Giovanni del fu Francesco Nannelli (detto Nanni) da Poggibonsi, messo pubblico del podestà di Poggibonsi, che al momento era nel palazzo a vendere i pegni. Il Nannelli gli indicò la casa, ma il portone era chiuso. Il garzone del podestà bussò alla porta, dopo un po’ si affacciò alla finestra Caterina che disse di non voler aprire la porta, allora Nanni andò a casa sua a prendere una scala e con questa, il garzone di Nanni salì fino ad una finestra e poi ridiscese ad aprire la porta della casa. All’intrusione in casa Caterina cominciò a gridare dicendo “povera me!”. Una volta entrato in casa, Federigo di Angelo da Montegonzio trovò il pievano di Staggia “appiattito li dreto l’uscio in uno armario” al che gli disse “che volete voi fare qui alle puttane un vero pari, egli mi rispose oh che t’importa a te! Et altre parole così tremando, come dire non mi far torto son gentil’homo” quindi il cavallaro replicò “o gentil’homo o altro fatemi una polizia, come io vi ho trovato qua”, quindi lo fece uscire dall’armadio e lo portò in una stanza al piano di sopra chiudendo la porta in modo che non scappasse. Qui ripetè più volte la richiesta della “polizia”, cioè di una dichiarazione che confermava i fatti accaduti, il prete affermò di voler fare la “polizia” ma chiese che fosse chiamato messer Ercole Mutii (Muzi).121 Dopo alcuni rifiuti il cavallaro acconsentì a far chiamare il Muzzi. A chiamarlo, dopo circa mezz’ora dall’inizio dell’accaduto, fu inviato il garzone del cavallaro Quazz’oldi. Nel frattempo Caterina che era rimasta in casa svenne “intanto io per la paura mi venni meno, et stata così un pezzetto tramortita, quando fui rinvenuta viddi messer Ercole Muzi che si partiva di casa mia essendo restato li in casa il detto pievano”. In questa dichiarazione Caterina si dimostra scaltra, con la scusa dello svenimento si tira fuori dal dover raccontare le contrattazioni tra il pievano, il Muzzi e il cavallaro. Al termine del suo interrogatorio però testimonia che il pievano di Staggia era già stato da lei un’altra volta, “io con detto pievano ho hauto da far seco un’altra volta carnalmente innanzi Carnovale, che sono con questa due volte e sempre in casa mia”.

Il Muzzi arrivò in casa di Caterina e il cavallaro fu chiamato in disparte “mi tirò li da banda” e gli fu domandato cosa fosse successo, una volta raccontato i fatti il Muzzi disse “avvertisci che tu non pigli qualche grancho, perché tu non hai autorità di pigliare i preti” un chiaro tentativo di insabbiare il fatto… Il cavallaro rispose che lui non aveva l’autorità, ma che anche i “sacerdoti non possono andare alle puttane”, il Muzzi gli chiese direttamente cosa volesse e lui ripeté che voleva dal prete un “polizia” scritta di sua mano sui fatti accaduti. Il pievano rispose “tu mi rovineresti, ch’io ho un’altra causa a Colle e se ti facesse questa fede sarei spiantato”. Dopo questo colloquio il Muzzi andò a parlare fitto fitto con il pievano, poi tornato da lui disse “che ti importa a te polizia o no polizia, fa amodo mio non cercare altro, perché se tu volessi questo gli faresti danno di grande importanza” e “se sapesse il vescovo gli faresti un gran danno, che in quanto averlo trovato qui in casa di una puttana non gliene va altro, che stare non so che mesi senza dir messa” “però fa a modo mio non cercare altro, che tu non ne perderai, andatevi con Dio, et lassa fare a me, che non patirai niente ancho questo si scoprisse”. Dopo questo dialogo il cavallaro e i suoi compagni uscirono dalla casa di Caterina, il Muzzi si trattenne ancora in casa con il pievano, ma dopo poco il Muzzi raggiuse il cavallaro “quando noi fummo vicini al canto sopra la casa di detta Caterina per uscire nella Strada Maestra” e con una scusa lo invitò a seguirlo in casa sua, qui gli consegnò 4 piastre.122 Uscendo di casa il cavallaro Federigo incontrò Pasquino del fu Sebastiano da Poggibonsi (22 anni) nunzio della cura dell’episcopato di Colle che affermò di voler “dare la querela a quel prete” al che per farlo star zitto “mi consiglia seco, et dettili una piastra”, ma poco dopo venne a sapere che Pasquino aveva già ricevuto dal Muzzi 3 piastre…

Giovanni del fu Francesco Nannelli (detto Nanni) da Poggibonsi, messo pubblico del podestà di Poggibonsi che era rimasto a guardia della porta della casa di Caterina, al termine dell’azione ricevette sette carlini dal garzone del Cavallaro.

A causa delle grida di Caterina al momento dell’irruzione, davanti alla porta della sua casa, essendo giorno di mercato, si formarono numerosi capannelli di persone che commentavano l’accaduto, tra le persone presenti sono citati Lodovico Giusti e Silvio Frittelli, poi alcune donne che abitano nella contrada del Galluri come le donne del fornaio (probabilmente Margherita e Caterina di Pistore, sorelle carnali abitanti al Galluri) e la donna del Troiola (Francesca) e sua sorella del Troiola. Un altro che ha la casa vicino a quella di Caterina è Lorenzo tessitore. Altre persone citate nel documento sono Tonino Dei da Bolzano123, Domenico Pacini, Giovan Battista Buoninsegni “spetiale da Colle”, Federigo fabbro figlio di Ciuccio Ciucci. Testimonia dell’accaduto anche Pasquino del fu Sebastiano da Poggibonsi messo della cura dell’episcopato di Colle.

Alcuni giorni dopo l’accaduto, il 13 giugno 1594, viene interrogato lo stesso pievano, che dopo il fatto era stato imprigionato. Il pievano è molto sfrontato nelle risposte, afferma di non conoscere il motivo per cui è stato incarcerato e di non conoscere la Caterina “non conosco la detta Caterina assolutamente”, nega tutti i fatti accaduti, curioso il commento riportato accanto ad una sua dichiarazione “sogghignando disse” proprio ad indicare che si stava facendo beffe di chi lo interrogava.

Il pievano viene interrogato nuovamente il 22 di giugno, dove si rifiuta di parlare se non gli sarà concesso “l’assistenza di due testimoni”. Dopo pochi giorni, il 25 giugno finalmente il pievano parla. Ha impostato la sua linea di difesa, dichiara di conoscere Caterina e di essere entrato in casa sua per trovare un uomo “a voler domandare qui d’uno” “il quale mi voleva vendere un cavallo”, ma l’uomo non c’era. Caterina gli chiese cosa ci facesse li e poi “pigliandomi per mano salimmo su di sopra, et entrando in camera ero in procinto di usar seco” ma poi arrivarono gli sbirri “la famiglia” che mi volevano “pigliare”, quindi il pievano chiese che fossero chiamati il capitano Tommaso, o Francesco di Parre o messer Ercole. Venne messer Ercole Muzi a cui il pievano disse “vedete la famiglia m’ha trovato qui di grazia diteli non mi menino preso ea sodisfateli quello se li deve”.

Il pievano continuò a costruire il suo alibi dichiarando che durante la passeggiata erano arrivati alla “stalla di Santa Maria Nuova, la quale viene poco sotto la casa di detta Caterina” e fu qui che lui abbandonò gli altri entrando nella stalla per vedere il cavallo che alcuni contadini che non conosceva gli avevano proposto in vendita, mentre usciva dalla stalla “un certo garzone” gli indicò che forse il padrone del cavallo era entrato dentro una casa (la casa di Caterina) e fu così che vi entrò. “Non so che fusse il padrone di detto cavallo, ne quel garzone che mi disse quelle parole, nemmeno so il lor nome”. Il pievano dice che fino a quel momento non conosceva chi fosse Caterina, venne a saperlo solo dagli sbirri quando lo presero. Le sue giustifcazioni facevano acqua da tutte le parti. Ma il Grazzini punta al confronto tra la sua parola di gentiluomo e quella di una meretrice “è solito loro molte volte dire d’aver che fare con uno et poi non è” e di alcuni sbirri… “se si volesse dar fede, o volessimo dar fede a birri et spie”.

CATERINA E LA MADONNA DI LUCCA

Cosa successe a Caterina? La testimonianza di Federigo il cavallaro di Certaldo ci svela che alcuni giorni dopo l’accaduto, il sabato successivo, lui era passato davanti alla casa di Caterina e l’aveva trovata con “l’uscio serrato”, chiedendo ad alcune donne che abitavano lì vicino su dove fosse la donna, gli fu risposto che Caterina “se n’era andata via con Dio”.

Fa luce sul suo destino quanto Caterina espresse ad un altro testimone, Federigo di Ciuccio Ciucci (20 anni), al quale manifestò l’intenzione di andare “dalla Madonna di Lucca”, ed infatti da quel giorno che successe il fatto con il pievano, Caterina non fu più vista e la sua casa aveva sempre “l’uscio serrato”. La Madonna di Lucca era un immagine miracolosa posta nella loggetta della Porta di Borgo a Lucca e che dopo un evento miracoloso era stata trasportata nella Chiesa di San Pietro Maggiore.124 L’affresco era stato dipinto dal soldato Francesco Cagnoli su Porta di Borgo nel 1536. L’immagine divenne famosa nel marzo 1588 quando alcuni soldati furono sorpresi a giocare a dadi sotto l’immagine della Madonna, e uno di questi bestemmiò scagliando i dadi contro l’immagine della Madonna. Al soldato per intervento soprannaturale si spezzò il braccio in due punti. Da questo momento in poi per l’immagine cominciò una venerazione popolare che evidentemente pochi anni dopo aveva superato i confini della Repubblica di Lucca e si era estesa anche al Granducato.

Nonostante le dichiarazioni del Ciucci fatte il 15 giugno, Caterna non era partita immediatamente perché il 20 giugno 1594 fu interrogata.125 Chissà se veramente Caterina decise di fare visita alla Madonna di Lucca o i suoi rimasero solo buoni propositi e continuò a fare la sua vita di sempre. Questo è un particolare che le carte non svelano.

EPILOGO

Il verdetto di questo processo non è riportato dalle carte, ma il Grazzini non risulta più officiare nella pieve di Staggia per alcuni anni, l’ultimo battesimo celebrato dal Grazzini è datato 21 febbraio 1593 (la data è nel calendario fiorentino e cioè è il nostro 1594), mentre l’ultimo matrimonio è datato 16 gennaio 1593 (cioè 1594). In base a queste evidenze è possibile che sia stato esiliato dalla diocesi di Colle per un certo periodo come succederà alcuni decenni dopo al prete di Montorgiali.126 Quello che è certo è che a partire dal 10 aprile 1596 Michele Grazzini celebra nel giro di un mese due battesimi nella pieve di Staggia, poi ricomincia a celebrarli nel 1598 e fino al febbraio del 1599.127 Forse fu reintegrato, ma per breve tempo perché successivamente non risulta più la sua presenza, e a partire dal maggio 1599 a Staggia c’è un nuovo pievano, Antonio Orselli.

La madre del pievano, Lisabetta morirà a 70 anni (“in circa”) il 17 marzo 1597 (cioè 1598, perché la data è nel calendario fiorentino) e fu seppellita in chiesa.128 Michele di Francesco Grazzini fu sepolto nel coro della pieve di Staggia senza nessuna iscrizione.129 La sua data di morte non l’ho trovata nei registri di Staggia.

Il 10 aprile 1598 passò a miglior vita Fra Spirito da Staggia e fu seppellito a Sant’Antonio.130

Grazie ai documenti conservati in archivio una piccola storia di vita di oltre quattorcento anni fa è potuta tornare alla luce.

TESTIMONIANZE:

1 aprile 1594: Costantia del fu Sebastiano (Bastiano) Mariotti al presente abitante nel luogo detto Vivaio del cav. Bonzi (f. 3r-4r)

1 aprile 1594: Ortentia moglie di Domenico Pacini al presente abitante nel podere delle Pietre del cav. Bonzi (f. 4r-5v)

1 aprile 1594: Domenico del fu Augustino Pacini (f. 5v-6r)

1 aprile 1594: Francesco del fu Michele Muzi al presente abitante nel luogo detto a Pini (f. 6r-6v)

14 aprile 1594: latino (f. 7)

15 aprile 1594: Matteo di Lorenzo Franchi (26 anni) al presente abitante in Staggia (f. 7v)

15 aprile 1594: Augusto di Paolo di Mariotto Nencini (40 anni) da Castellina al presente abitante a Staggia (f. 8r-9r)

15 aprile 1594: Giovanni di Sebastiano Spinelli (64 anni) abitante nel territorio di Staggia da 36 anni a questa parte ma di origine fiorentina (9r-11v)

15 aprile 1594: Domenico di Giovanni del Giovine (55 anni) da Staggia (f. 11v-13r)

15 aprile 1594: Giovanni Maria di Lorenzo (16 anni?) da Staggia (13r-14r)

15 aprile 1594: Giovanni Maria di Cesare Mattioli (40 anni) da Staggia (14r-15v)

15 aprile 1594: Angelo di Battista (calceolarius=calzolaio) (40 anni) a Staggia (16r-16v)

15 aprile 1594: Jacomo di Giovanni Masi (36 anni), carpentiere da San Casciano di Firenze al presente abitante nella terra di Staggia (16v-17v)

15 aprile 1594: Ginevra di Domenico del Giovine da Staggia (18 anni), vergine (f. 17v-18v)

15 aprile 1594: Domenico di Antonio Pacini (29 anni) al presente lavoratore della terra del signor Ercole Mutii (Muzi) nel podere detto al Petriccio (f. 18v-19r)

16 aprile 1594: Reverendo Michele Grazzini, pievano di Santa Maria di Staggia (f. 19v-20r)

22 aprile 1594: Reverendo Michele Grazzini, pievano di Santa Maria di Staggia (f. 20v-24v)

26 aprile 1594: Reverendo Michele Grazzini, pievano di Santa Maria di Staggia (f. 24v-30r)

28 aprile 1594: Reverendo Michele Grazzini, pievano di Santa Maria di Staggia (f. 30r-36r)

28 aprile 1594: Niccolaio del fu Carlo Pacini detto il Massaio (f. 36r-37v)

29 aprile 1594: Angelo del fu Pietro Taddei della (comune?) di Staggia (f. 37v-38r)

2 maggio 1594: Lorenzo del fu Giovanni Maria Nelli (56 anni) di Staggia (f. 38r-41r)

5 Aprile (credo sia un errore per maggio) 1594: Reverendo Michele Grazzini, pievano di Santa Maria di Staggia (f. 41v-47r)

5 maggio 1594: Lucretia figlia di (Domenico?) Pacini (20 anni) vedova di (Giulio) di Sebastiano a Vivaia (f. 47r-47v)

5 maggio 1594: Ortentia di (Domenico?) Pacini da Staggia (f. 48r-48v)

7 maggio 1594: Reverendo Michele Grazzini, pievano di Santa Maria di Staggia (f. 48v-52v)

Inquisitio: Latino (f. 52v-55r)

10 maggio 1594: Reverendo Michele Grazzini, pievano di Santa Maria di Staggia (f. 55r-57v)

10 maggio 1594: latino (f. 57v-58v)

11 maggio 1594: Reverendo Tommaso del fu (Bernardino?) (Reneri?), canonico di Colle (25 anni) (f. 58v-59r)

Latino: (f. 59v-69v)

Pagine bianche (f. 70r-76v)

Compagnia di Staggia (f. 77r-77v)

5 agosto 1591: Fede di Antonio e Giuliano (fratelli carnali di Maso) Fornaini (f. 79r)

20 marzo 1593: Fede di Salvadore di Francesco Savilli (f. 81r)

26 maggio 1594: Niccolò del fu Carlo Pacini (48 anni) (f. 83r-90v)

27 maggio 1594: Reverendo Frate Spirito di Staggia (53 anni) ordine di Sant’Agostino Congregazione Nicetana curatore di Santa Maria di Lecchi e San Donato di Cerna (f. 91r-98v)

30 maggio 1594: Carlo di Niccolò Pacini (22 anni) (f. 99r-107v) Nativo di Staggia “io sono da Staggia” e abita in Staggia, ha una bottega di masserizie. Ha un fratello e suo padre è ancora vivente. “mi trovo vivere, et star comodamente” la rendita dei due fratelli è 3000 scudi. Vive con le sue entrate. Figlio di famiglia e sposato.

31 maggio 1594: Augustino del fu Angelo Pepi (64 anni), abitante a Castiglioncello, mugnaio e lavoratore della terra del monastero di Abbadia a Isola (f. 108r-117r) “io sono nativo di Staggia, anzi allevato in Staggia vi fui portato che avevo 14 giorni” era nato però a Colle. Fa il mugnaio e lavora per il podere dei Frati dell’Abbadia a Isola, abita nel comune di Castiglioncello e vive del suo lavoro.

6 giugno 1594: Giovanni Francesco del fu Taddeo Pacini (37 anni) (f. 117v-125v) “sono di Staggia e abito qui” “fo il mestiero della polvere” “ho il valore di 2200 scudi incirca” “vivo del mio et a mie spese”.

10 giugno 1594: Ercole del fu Pietro (Muzzi?) (48 anni), cittadino fiorentino al presente abitante a Poggibonsi (f. 126r-128v) Nativo di Poggibonsi, ma cittadino fiorentino, abita quando a Poggibonsi, quando a Firenze. Ha 12000 scudi di beni. La famiglia Muzzi è un’antica famiglia di Poggibonsi. Il nostro testimone, Ercole di Pietro Muzzi aiutò il comune di Poggibonsi con il proprio denaro per acquistare il grano durante la carestia del 1591.131 Ercole di Pietro Muzzi fu anche colui che restaurò l’Oratorio del Piano.132

22 maggio 1594: Fede di Ottaviano Naldini Capitano e Governatore della Banda di Val d’Elsa (f. 129r-129v)

Pagine bianche (f. 130r-151v)

8 giugno 1594: Domenico del fu Augustino Pacini da Staggia (f. 152r-152v) povero contadino, fa la raccolta nel terreno del pievano e ha un livello della chiesa.

8 giugno 1594: Domenico del fu Giovanni del Giovine da Staggia (f. 153r-154r)

13 giugno 1594: Angelo del fu Battista (Calcolarius=calzolaio) in Staggia (f. 154v-155v)

13 giugno 1594: Giovanni del fu Sebastiano Spinelli che dimora nella terra di Staggia (f. 155v-159r)

13 giugno 1594: Giovanni Maria di Cesare (Mattoli?) da Staggia (f. 159r-161v)

13 giugno 1594: Jacomo (di Giovanni?) Masi, carpentiere (falegname) da San Casciano di Firenze (f. 162r-163r)

20 giugno 1594: Francesco di Michele Muzi (Muttii) abitante in luogo detto a Pini (f. 163v-165r)

Pagine bianche (f. 165v-179v)

11 giugno 1594: Giovanni del fu Francesco Nannelli da Poggibonsi, messo pubblico del podestà di Poggibonsi (35 anni) (f. 180r-182r)

11 giugno 1594: Nardino di Antonio Provvedi, messo pubblico del podestà di Poggibonsi (f. 182v-183r)

11 giugno 1594: Pasquino del fu Sebastiano da Poggibonsi messo della cura dell’episcopato di Colle (f. 183r-184v)

11 giugno 1594: latino (f. 184r bis-185r)

13 giugno 1594: Reverendo Michele Grazzini, pievano di Santa Maria di Staggia (f. 185r-188r)

14 giugno 1594: Federigo di Angelo da Montegonzio, cavallaro del vicario di Certaldo (f. 188r-191r)

14 giugno 1594: Lorenzo del fu Antonio detto Quazz’oldi, pubblico esecutore di giustizia e servitore del detto Federigo cavagliere di Certaldo (f. 191r-194r)

14 giugno 1594: Reverendo fratello Spirito (ordine le…?) Sant’Agostino Congregazione Nicetana al presente curatore di Santa Maria di Lecchi (f. 194r-195v)

15 giugno 1594: Federigo di Ciuccio Ciucci da Poggibonsi (f. 195v-196r)

16 giugno 1594: Reverendo presbitero Sebastiano del fu Lorenzo Caldori da Poggibonsi (34 anni) (f. 196v-197r)

20 giugno 1594: Lorenzo del fu Benedetto Briganti di Ponte a Elsa abitante a Poggibonsi (f. 197v)

20 giugno 1594: Caterina di Giovanni da Colle al presente abitante in Poggibonsi (f. 198r-199r)

22, 25 giugno 1594: Reverendo Michele Grazzini, pievano di Santa Maria di Staggia (f. 199v-200r, 200r-206v)

DOCUMENTI

ARCHIVIO ARCIVESCOVILE DI COLLE

CAUSE CRIMINALI:

Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia.

STAGGIA:

917 – Staggia. Battesimi 1576-1609

918 – Staggia. Matrimoni 1576-1809

919.1 – Staggia. Morti 1583-1694. Stati d’Anime 1687-1694

ARTICOLI CONSULTATI:

Barbara Gelli “I Grazzini di Staggia. Da piccoli proprietari locali a funzionari pubblici e uomini di corte (XV-XVI secolo)” in Bullettino senese di storia patria Volume 112, 2006, p. 267-327

Marzini Rovigo, “Antico Castello e Terra di Staggia” Miscellanea Storica della Valdelsa n. 87/88, pp. 81-97

Marzini Rovigo, “Antico Castello e Terra di Staggia. La fortezza. Le mura. La pieve. Ospedali” Miscellanea Storica della Valdelsa, n. 89/90, pp. 34-43

Marzini Rovigo, “Antico Castello e Terra di Staggia. Famiglie e uomini illustri” Miscellanea Storica della Valdelsa, n. 91, pp. 103-109

NOTE

1Rovigo Marzini “Antico castello e terra di Staggia. Famiglie e uomini illustri” in “Miscellanea Storica della Valdelsa” Anno XXXI, n. 91, 1923, pag. 103-109

2Barbara Gelli “I Grazzini di Staggia da piccoli proprietari locali a funzionari pubblici e uomini di corte XV-XVI” in “Bullettoino Senese di Storia Patria” CXII 2005-2006, pag. 267-327

3Barbara Gelli “I Grazzini di Staggia da piccoli proprietari locali a funzionari pubblici e uomini di corte XV-XVI” in “Bullettoino Senese di Storia Patria” CXII 2005-2006, pag. 267-327

4Barbara Gelli “I Grazzini di Staggia da piccoli proprietari locali a funzionari pubblici e uomini di corte XV-XVI” in “Bullettoino Senese di Storia Patria” CXII 2005-2006, pag. 267-327

5Rovigo Marzini “Antico castello e terra di Staggia. Famiglie e uomini illustri” in “Miscellanea Storica della Valdelsa” Anno XXXI, n. 91, 1923, pag. 103-109

6Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: 919.1 – Staggia. Morti 1583-1694. Stati d’Anime 1687-1694

7Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: 917 – Battesimi 1576-1609, f. 21r

8Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: 918 – Matrimoni 1576-1809, 8v

9Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 160r

10Carlo di Niccolò Pacini ci dice anche il cognome della madre del pievano che “é degli Strozzi” anche lei cittadina fiorentina. Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 106v. Testimonianza di Giovanni Francesco del fu Taddeo Pacini. Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 125r

11Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 153r

12Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 60r

13Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 98r

14Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 91r-92r, 98v

15Cioè: un attestato, un documento, una testimonianza

16Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 38r-39r

17Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 82r

18Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 19v-20r

19Domenico di Antonio Pacini (29 anni) al presente lavoratore della terra del signor Ercole Mutii (Muzi) nel podere detto al Petriccio

20Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 7v, 17r

21Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 3r-6r

22Bastiano di Tio di Mariotto. Chiamato “Bastiano delo Stinco” secondo la testimonianza di Giovanni Maria di Cesare Mattioli: Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 15r

23Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 21r

24Denominazione popolare dei frati minori osservanti, cioè i francescani

25Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 47r-47v

26Si tratta di colui che aveva firmato la fede di accusa al pievano.

27Il sostegno della bara durante il trasporto.

28Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 93r

29Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 21r-26r

30Nella pagina successiva il nome è “Bernardino fabbro” ma sembrerebbe essere Alessandro di Bernardino fabbro (vedi f. 88v)

31Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 44v-47r

32Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 6r-6v

33Testimonianza di Giovanni Francesco del fu Taddeo Pacini. Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 119r

34La chiesa di San Bartolomeo a Pini.

35Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 21v

36Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 49v

37Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 92v-93r

38Si tratta della moglie del Sarchielli.

39Il sostegno della bara durante il trasporto.

40Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 8r-9r

41Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 22r

42Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 93r

43Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 96v

44Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 102r

45Testimonianza di Giovanni Francesco del fu Taddeo Pacini. Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 122v-123r

46Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 22r

47Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 26v-27v

48Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 55v-56r

49Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 22v, 26r, 34v

50Probabilmente il pievano si riferisce al Sinodo del 1590 (8-10maggio 1590) fatto dal vescovo Guido Ser Guidi. Vedi: Cronistoria dell’antichità, e nobiltà di Volterra, cominciando dal principio della sua edificazione infin’al giorno d’hoggi. … Raccolta da diuersi scrittori per … fra Mario Giouannelli … Anno 1613, pag 167

51Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 35r-35v

52Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 37r-37v

53Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 37v-38r

54Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 113v

55Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 40v-41r

56Luca Franchi era un lavoratore del pievano. Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 104r

57Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 77r-77v

58Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 95v

59Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 9r-11v

60Variante del toscano arcaico di lampada.

61Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 40r

62Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 111v-112r

63L’ultimo momento di preghiera della giornata, cioè l’ora che viene dopo i vespri.

64Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 9r-11v

65Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 14r-15v

66Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 31v-32r

67Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 29r-30r

68Testimonianza di Giovanni Francesco del fu Taddeo Pacini. Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 120r

69Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: 919.1 – Staggia. Morti 1583-1694. Stati d’Anime 1687-1694, 85v

70Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 93v

71Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 93r

72Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 9r-11v

73Quest’ultima è la pigionale che abitava una casa della pieve.

74Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 31r

75Assieme a lui aiutano in chiesa anche altri due fanciulli, Pier Maria di Niccolò Rosi e Menico Calamassi.

76Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 13r-14r

77Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 58v-59r

78Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 160r

79Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 13r-14r

80Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 30v

81Si tratta di un materasso.

82Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 36r-36v

83Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 39v-40r

84Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 155r-155v

85Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 50r

86Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 86v, 89r

87Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 79r

88Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 95r

89Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 104r

90Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 113r

91Secondo Fra Spirito Lucretia di Gosto era una pigionale di Battista del Ciaci. Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 95r

92Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 11r-11v

93Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 16r

94Queste offese stavano ad indicare gli infedeli “turco” e i protestanti “ginevrino” e “navarrino”. In un altra parte del suo interrogatorio il pievano riferisce “Turco, Luterano et Ginevrino”. Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 52r

95Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 32v-34v

96Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 32v, 62r

97Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 86v-87r

98Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 104v

99Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 11v-13r

100Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 109v

101Bottino: Cavità o fossa murata, destinata alla raccolta delle acque luride e dei rifiuti organici

102Il convento di Santo Antonio al Bosco.

103Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 17v-18r

104Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 17v-18r

105Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 18v

106Il convento di Santo Antonio al Bosco.

107Probabilmente il convento di San Francesco a Colle.

108Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 16v

109Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 15v

110Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 41v-42r

111Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 42v-43r

112Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 43v-44v

113Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 51v-52v

114Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: 919.1 – Staggia. Morti 1583-1694. Stati d’Anime 1687-1694, 84r-84v

115Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 92r-92v, 96r

116Il giorno in cui avvenne quanto raccontato fu il 17 aprile 1594 secondo la fede fatta dal capitano Ottaviano Naldini. Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 129

117Evidentemente c’era stata una promessa di matrimonio.

118Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: Anno 1594 – Processo criminale contro Michele Grazzini, Pievano di Staggia, f. 127r

119Montegonzi un borgo situato nei Monti del Chianti vicino a Cavriglia.

120Messo che recapitava, a cavallo, le citazioni dei tribunali.

121Ercole Muzi fu colui che fece affrescare la cupola dell’oratorio della Madonna del Piano di Poggibonsi da Giovanni da San Giovanni. L’oratorio in questione fu demolito alla fine del settecento.

122Secondo la dichiarazione del garzone del cavallaro (Lorenzo del fu Antonio detto Quazz’oldi) il Muzzi si accordò già in casa di Caterina sul mandare via i due garzoni e sul ritrovarsi da solo a casa del Muzzi. Il garzone dichiara anche di aver ricevuto sette giuli, mentre mezza piastra fu data al garzone del podestà di Poggibonsi e un’altra mezza piastra a Nanni, il messo.

123Bolsano, una località vicino a Staggia.

124La Chiesa di San Pietro Maggiore fu demolita all’inizio dell’ottocento e il dipinto fu trasferito nella chiesa di San Romano sempre a Lucca.

125Durante il processo i testimoni furono interrogati tra l’11 e il 20 giugno, mentre il pievano fu interrogato il 22 giugno 1594.

126Vedi: Oscar di Simplicio “Storia di un anticristo: avidità, amore e morte nella Toscana medicea (Montorgiali, Maremma, 1609-1645), Il leccio, 1996. Oscar di Simplicio “Luxuria: eros e violenza nel Seicento” Salerno, 2011. Marco Ramerini “Marcantonio Niccolai: il prete di Montorgiali” in preparazione.

127Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: 917 – Battesimi 1576-1609 (10 aprile 1596, 25 maggio 1596, 3 marzo 1597 (cioè 1598), 15 novembre 1598, 26 novembre 1598, febbraio (?) 1598 (cioè 1599)). Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: 918 – Matrimoni 1576-1809 (per quanto riguarda i matrimoni, a partire dal 25 novembre 1598 Michele Grazzini ricomincia a celebrare matrimoni come pievano di Staggia e questo fino al 21 febbraio 1598 (cioè 1599)).

128Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: 919.1 – Staggia. Morti 1583-1694. Stati d’Anime 1687-1694, 13r

129Rovigo Marzini “Antico castello e terra di Staggia” in “Miscellanea Storica della Valdelsa” Anno XXXI, 1923, pag. 108, nota 2

130Archivio Arcivescovile di Colle Val d’Elsa: 919.1 – Staggia. Morti 1583-1694. Stati d’Anime 1687-1694, 13v

131Marchese Vittorio Spreti “Enciclopedia storico-nobiliare italiana” Appendice · Volume 2, 1935, pag. 381

132Pratelli, Francesco “Storia di Poggibonsi” 1990, pag. 207

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Marco Ramerini – Michele Grazzini un processo al pievano di Staggia 1594
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